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martedì 17 marzo 2009

Uccise la figlia gravemente malata: condannata a sei anni

Condannata per l’omicidio della figlia. E’ passato più di un anno da quel tragico 22 novembre quando Silvana Anselmi uccise la sua Sara, che aveva 22 anni ma sembrava una bambina, tentando poi il suicidio. Il delitto si consumò un giovedì mattina nella loro casa di Ponte Rio di Monte Porzio. La signora, ora cinquantunenne, tagliò le vene dei polsi di Sara, malata terminale di Les (Lupus eritematoso sistemico) dall’età di 4 anni. Una patologia inarrestabile e terribile che devasta progressivamente organi e tessuti. Ieri nel Tribunale di Pesaro, davanti al giudice dell’udienza preliminare Lorena Mussoni, si è concluso dal punto di vista giudiziario il primo grado di questa triste e toccante vicenda, che sconvolse l’intera provincia, con la condanna della donna a 6 anni e 2 mesi di carcere per omicidio volontario. Il pm Stefano Celli aveva chiesto 14 anni. La sentenza è stata emessa dopo due ore di camera di consiglio.

“Sono state accolte le attenuanti generiche, per il particolare valore del fatto volto ad alleviare il dolore, la sofferenza di Sara - afferma l’avvocato Giovanni Galeota -. Noi avevamo chiesto l’assoluzione totale per l’incapacità di intendere e di volere della mamma al momento dell’evento come sostenuto dalla consulenza di parte della psicologa Vitelli. In subordine l’omicidio del consenziente perché la figlia più volte disse alla mamma di voler andare in Olanda dove viene pratica l’eutanasia per smettere di soffrire. Dal giudice che ha svolto un processo davvero straordinario per competenza e sensibilità è stato ritenuto insomma un omicidio pietoso”.

Dopo la requisitoria del pm, c’è stata l’arringa dell’avvocato Galeota, al cui fianco sedeva Silvana Anselmi. “In questi casi ci si sente inadeguati, è molto difficile trovare le parole giuste per ricostruire una vicenda così dolorosa - spiega l’avvocato -. Siamo davanti a una donna che per venti anni si è azzerata per stare accanto all’amata figlia gravemente ammalata. Ora probabilmente ricorreremo in appello perché siamo fermamente convinti che la signora al momento dell’omicidio non fosse capace di intendere e di volere. Per ora rimarrà nella struttura di Monte Cerignone dove viene curata. I periti non hanno segnalato pericolosità sociale, solo il rischio di autolesionismo. Non c’è aggravamento della posizione della signora. Più avanti vedremo concordemente con l’istituto e il giudice se potrà tornare a casa”. Al termine della lettura della sentenza la donna in lacrime è tornata, accompagnata da un assistente, nell’alloggio sociale per adulti in difficoltà di Monte Cerignone, dove giuridicamente è agli arresti domiciliari. Se ne è andata stringendo forte in mano un portafogli azzurro con disegnate tante margherite di sua figlia Sara ritrovato proprio la sera prima del processo.


Distinta, psicologicamente presente a se stessa e salda nonostante la giornata che si apriva fosse di quelle che ti spezzano il cuore.
Silvana Anselmi si è presentata così in Tribunale ieri mattina, con un giubbotto bianco e pantaloni neri, i capelli biondi curati.
Con lei a differenza delle precedenti udienze non c’era il marito Sandro Servadio che provato dall’emozione ha preferito rimanere a casa. Nemmeno i parenti di Silvana si sono visti ma per tutta la giornata sono rimasti in contatto telefonico con l’avvocato Galeota.
La signora durante il processo è scoppiata spesso in lacrime, il pensiero correva sempre a Sara, a quella figlia amata sopra ogni cosa, seguita per 22 anni in ogni istante della sua vita. In diverse circostanze Silvana ha definito quel tragico giovedì “l’ultimo gesto d’amore verso la mia Sara”.
E Sara in un certo senso era stretta a lei anche ieri, nel cuore, nei ricordi, negli occhi lucidi.

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