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giovedì 24 settembre 2009

“I piccoli comuni sono una priorità”: parola di Massimo Vannucci


L’onorevole Massimo Vannucci (Pd) fa il punto sulla normativa in discussione in parlamento

La proposta di legge bipartisan di Realacci-Lupi e molti altri parlamentari, che ha lo scopo di favorire misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, ha ripreso il suo iter alla Camera dei deputati. È stata inoltre “calendarizzata” la legge sulla montagna per la quale si sta predisponendo il testo base che comprenderà le varie proposte presentate, anche in questo caso, in uno spirito di larga convergenza. Ha inoltre preso il via la discussione sulla Carta delle autonomie in base al disegno di legge del Governo che ha l’obiettivo di fissare le funzioni fondamentali di Comuni e Province, nonché di semplificare e razionalizzare l’ordinamento.

Un complesso di norme che i piccoli comuni devono monitorare con attenzione per arrivare, finalmente, a una legislazione specifica che colga il tratto peculiare di queste realtà offrendo norme che evitino parametri uguali per tutti. Sulle reali volontà del Governo, è da registrare la bozza di un disegno di legge per misure a favore dei piccoli comuni che ha ricevuto l’esame preliminare del Consiglio dei ministri e che riprende gran parte dei contenuti del disegno di legge (primo firmatario Realacci) “Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni”, approvato dalla Camera dei deputati il 18 aprile 2007 all’unanimità. L’iter si è poi interrotto per la conclusione anticipata della legislatura. Di questo provvedimento sono stato relatore. Anche nella presente legislatura con il collega Dussin, relatore per la commissione Ambiente, ci poniamo lo stesso obiettivo.
È arrivato il momento di porre la questione di fondo e ripensare lo sviluppo del Paese. L’Italia, come del resto altre nazioni europee, ha assistito a una forte antropizzazione a favore delle grandi città, crescendo prima lungo le linee ferroviarie e poi lungo gli assi stradali e autostradali. Questo processo ha portato a nuclei urbani con scarsa qualità della vita e aree interne spesso spopolate, non in grado di garantire una “massa critica” per la presenza di servizi essenziali. Si è innescato così un circolo vizioso secondo il quale non sussistono servizi perché non c’è abbastanza popolazione e la gente non mantiene la residenza perché non ha garanzia di servizi.
L’Italia ha tutto l’interesse a fare sì che le politiche da praticare si trasformino in un grande progetto europeo, oltre che nazionale, per favorire una migliore diffusione della “residenzialità” a garanzia della tutela del territorio e del suo migliore utilizzo. Svezia, Irlanda e Finlandia, ma anche Spagna e Francia, da anni realizzano politiche di accoglienza che favoriscono la residenza nei territori a forte decremento demografico. In questo senso la legge Realacci-Lupi, oltre ad avere l’obiettivo di semplificare l’ordinamento per tutti i comuni sotto i 5.000 abitanti, propone una serie di norme solo per i comuni che registrano parametri economici, demografici, sociali e logistici particolarmente negativi. Non interventi a pioggia, quindi, ma mirati per chi ne ha realmente bisogno. Favorire la residenza vuol dire in primo luogo garantire i servizi, a partire da quelli scolastici (questione di drammatica attualità), sanitari, sociali, tecnologici (vedi banda larga) prevedendo deroghe alle problematiche "parametrazioni" nazionali. Inoltre è significativo introdurre una fiscalità di vantaggio a favore di chi apre o trasferisce attività, ausili ai giovani che rimangono nel comune, indennizzi a chi sopporta maggiori costi di trasporto e riscaldamento. Favorire la residenza vuol dire, infine, semplificare la vita degli agricoltori e degli artigiani per la vendita dei loro prodotti e l’utilizzo della rete commerciale per metterla nelle condizioni di offrire la più ampia gamma di merci e costituire un servizio anche per gli adempimenti pubblici, postali e non solo.
La Carta delle autonomie non si occupa, come è giusto, di questo. Pertanto è assolutamente indispensabile che la legge per i piccoli comuni venga approvata prima del codice degli enti locali sul quale dobbiamo comunque aprire un approfondito dibattito. La prima questione che viene proposta dal disegno di legge Calderoli è quella delle funzioni, con l’obbligo per i comuni con meno di 3.000 abitanti di esercitarle in forma associata. Il principio è assolutamente condivisibile: “operare insieme”, “unire le forze”, “ottimizzare le risorse di uomini e mezzi”. Discutiamone, vediamo se sarà veramente possibile delle 21 funzioni proposte per i Comuni che ben 15 siano obbligatoriamente esercitabili insieme, come previsto nel disegno di legge. Forse su qualcuna dovremo discutere (per esempio anagrafe, servizi tecnici, manutenzione). È però decisivo che non si inneschi una velleitaria e propagandistica azione per mettere in discussione i municipi in quanto tali. La nostra, del resto, è l’Italia dei Comuni, l’ossatura del Paese. E in questo quadro dobbiamo vedere quanto da Regioni e Province verrà trasferito ai Comuni. Ritengo che la bozza non disegni al meglio il ruolo di Regioni e Province che appare ancora, in alcuni settori, sovrapponibile. E che Comuni obbligati ad associarsi possano rivendicare una migliore distribuzione di compiti e funzioni a loro favore.
Vanno inoltre specificati più attentamente modalità e criteri per arrivare alla definizione di aree omogenee per l’associazione dei piccoli comuni, assegnando alle Regioni la competenza programmatoria e prevedendo la possibilità, nella propria autonomia legislativa, di mantenere le Comunità montane quando utili e necessarie. Meglio ancora sarebbe stralciare la materia “Comunità montane”, dopo il recente ridimensionamento, rimandando ogni decisione alla discussione della legge sulla montagna.
Quanto agli organi degli enti locali appare francamente sbagliata la proposta di portare a 6 i componenti del Consiglio comunale per i comuni fino a 3.000 abitanti e a 8 per i comuni da 3 a 10 mila. Così come sopprimere la Giunta nei comuni con meno di 1.000 abitanti o prevedere un solo assessore per quelli fino a 3.000 abitanti. Meglio sarebbe lasciare maglie più larghe per favorire l’impegno civile, laddove si manifestino desiderio e sensibilità da parte dei cittadini a partecipare alla cosa pubblica, prevedendo magari un tetto di spesa non superabile per il funzionamento degli organi o la gratuità stessa, ma lasciando la decisione a seconda dei casi, comune per comune.
Il primo banco di prova per il Governo lo avremo con la prossima finanziaria. Nel 2009, infatti, si è esaurito il fondo triennale di 260 milioni istituito con la finanziaria 2007 a favore di piccoli comuni con alta percentuale di anziani e bambini. Con le modifiche via, via apportate ora il fondo funziona meglio: ne hanno beneficiato quest’anno 3.701 comuni su un totale di 5.181 e molto spesso è stata l’unica chance per chiudere i bilanci. Cosa farà il Governo? Spero proprio che questa posta in gioco non rientri nei tagli e non ci costringa a una battaglia che allora sì sarà pesante. Abbiamo numerose materie di cui discutere, quindi facciamolo, non in un’ottica di conservazione, rivendicazionismo e lamento, ma pronti a raccogliere le sfide affinché nel nostro Paese, attraverso la valorizzazione dei piccoli comuni, si possa vivere meglio e l’Italia ritrovi davvero le proprie radici.
Onorevole Massimo Vannucci
Camera dei deputati

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